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La cosa peggiore dei D.S.A.

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Quando si pensa a chi ha una diagnosi di disturbi specifici di apprendimento, si crede che la cosa peggiore sia il sentirsi etichettato oppure il non riuscire a prendere un bel voto a scuola nonostante l'impegno. La realtà però è, purtroppo, molto differente. Ciò che pesa non è la definizione del disturbo, che per chi non lo vive può voler dire classificare la persona in una categoria definibile come "vorrei ma non posso". Anzi, la definizione a volte è ciò che permette una spiegazione laddove si faticava a trovarne le cause ("perché scrivo storto nonostante le righe?", "perché dopo 5 minuti di lettura mi sento già affaticato?", "perché la tabellina del 7 non mi entra in testa?", ecc.). Il problema, il vero problema, è che avere un D.S.A. significa scoprire ogni giorno qualcosa di nuovo che ti risulta difficile rispetto alle richieste dell'ambiente in cui vivi. Il che a volte dà la sensazione di non avere il pieno controllo di sé: non nel

Imparare non significa per forza annoiarsi

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Per qualche misterioso motivo, c'è sempre stata l'idea che per imparare fosse necessario versare sangue, sudore e lacrime. Come se ridendo non fosse possibile apprendere. Studi anche molto recenti hanno dimostrato che un clima positivo e supportivo in classe sostiene motivazione ed apprendimento. Le emozioni infatti hanno una grandissima influenza su questo processo, guidando la sfera decisionale e creativa. Secondo Lev Semënovič Vygotskij  l'apprendimento non è un'assimilazione passiva di contenuti, ma implica un'importante attivazione cognitiva ed emotivo. Per Howard Gardner lo studente che è stimolato positivamente e che può associare le nozioni ad emozioni riuscirà ad apprendere con minor fatica e con risultati migliori rispetto a chi non viene emotivamente coinvolto, che rischia invece di dimenticare quanto studiato in tempi decisamente più brevi. Nella mia esperienza professionale, quando si tratta di lavorare sugli apprendimenti cerco sempre di mantenere un

Quando tuo figlio parla di challenge

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Chi ha in casa ragazzi sicuramente avrà sentito almeno una volta il termine " challenge ": di cosa si tratta? Per challenge si intende una sfida che viene lanciata sui social con lo scopo di diffonderla a più persone possibili.  Una delle prime sfide "note" risale al 2014: la "ice bucket challenge", in cui personaggi più o meno famosi si facevano lanciare addosso secchiate di acqua gelida e ghiaccio. Da allora questo genere di imprese si sono diffuse sui vari social, alcune anche con scopi benefici. Le challenge possono innanzitutto concretizzarsi in sfide reali, in cui bisogna dimostrare abilità, caratteristiche o resistenza, oppure in compiti da portare a termine, come ad esempio pubblicare quotidianamente foto. La viralità viene garantita dall'utilizzo di hastag specifici, con i quali vengono accompagnate le immagini ed i video. Accettare un tipo di challenge lanciato da un influencer o da un determinato gruppo alimenta sicuramente il senso di ap

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Per avere ulteriori informazioni sulla mia attività e sulle iniziative che mi coinvolgono, suggerisco di visitare il sito www.informalamente.it

Sopravvivere al Natale (quando si diventa tristi)

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Il periodo di Natale è iconograficamente caratterizzato da gioia ed entusiasmo, con luci, colori, regali e pensieri positivi verso le altre persone. Tutto ciò può risultare particolarmente pesante per chi si è trovato nei mesi precedenti, o addirittura nello stesso periodo, lutti, separazioni, difficoltà economiche e malattie. Per le ovvie emozioni che ci si trova a gestire, diventa molto difficile sentirsi in sintonia con il clima generale, oggigiorno reso ancora più pesante dai media di quanto sia sentito in realtà dalle persone stesse. Sentimenti come tristezza e malinconia possono prendere il sopravvento, soprattutto quando si sentono le musiche natalizie o ci si trova nel mezzo della frenesia per gli acquisti. Più che domandarsi il perché di questi stati emotivi, secondo me diventa fondamentale trovare una adeguata strategia per affrontarli. Come? Innanzitutto bisogna focalizzarsi su quello che si ha. Senza raggiungere i livelli di ottimismo insensato alla “ Sindrome di

Ore e ore a studiare: è giusto così?

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Il tempo che un ragazzo / bambino impiega per eseguire i compiti a casa non sempre è direttamente proporzionale ai risultati. Se tuo figlio torna a casa da scuola, mangia, guarda i Simpson per una mezz'oretta e poi si dedica un'ora o due allo studio, senza poi guardare più i libri e poi nelle verifiche ottiene un buon esito, non vuol dire che non si impegna abbastanza, anzi. Semplicemente ha un metodo di studio efficace, che gli permette di avere un equilibrio nelle tempistiche da dedicare a uno studio efficace e al divertimento.  Viceversa ritengo sempre un campanello di allarme il fatto che un bambino, magari già dalle elementari, passi la maggior parte del suo tempo a casa chino su libri e quaderni. Tale allarme ovviamente si intensifica se i voti nelle prove sono bassi. In questi casi consiglio un approfondimento specifico sugli apprendimenti scolastici, per comprendere se sono presenti difficoltà specifiche e lavorare così su quelle. In ogni caso diventa molto utile a

La diagnosi non fa paura

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Capita sempre più spesso di trovarmi davanti a bambini e ragazzi con difficoltà in diversi ambiti (comportamento, abilità scolastiche,ecc.): la cosa è abbastanza ovvia dal momento che lavoro nell'ambito scolastico e del settore giovanile sportivo. Nella situazione in cui la difficoltà viene riconosciuta, approfondita ed eventualmente diagnosticata, il bambino viene "assolto" da colpe che non ha, come ad esempio disattenzione, svogliatezza, disimpegno, ineducazione. Chi si trova a gestirlo ed a lavorare con lui, sa quali possono essere i punti critici del ragazzo e si comporta di conseguenza, focalizzando l'attenzione su altre caratteristiche da potenziare e non andando a minare nè l'autostima del minore nè la propria di figura educatrice efficace. Purtroppo invece spesso prevale la "strategia dello struzzo": il genitore minimizza il problema del figlio, lo nega oppure cerca origini differenti da quella reale, attribuendone la colpa a fattori esterni. Q